giovedì 29 luglio 2010

L'ANGOLO DELLA POESIA


O guidatore
che detergi i vetri della tua automobile
con apposita apparecchiatura
(insita nel veicolo)
che spruzza acqua
ignaro dei passanti
e ancor più della signora grassa
che ti segue in scooter

vaffanculo.

lunedì 26 luglio 2010

BETTA SI SFOGA



Guardate, non ce la faccio più. Lasciatemi sfogare perché sono davvero esausta.
Allora.

Uno era un astronomo, uno scrittore capace di rendere la scienza accessibile a tutti e di creare pura poesia con le parole, un sognatore, una mente eccelsa.
Uno è una sottospecie di velina al maschile, peraltro brutta, che legge notizie di regime e pettegolezzi in tv.

Uno era uno dei personaggi più importanti del ventesimo secolo: ha fatto importanti scoperte, ha scritto uno dei romanzi più belli del mondo, ha mandato nello spazio un segnale di vita intelligente dal nostro pianeta, nella speranza - sua e di tutti noi - che in un punto lontanissimo nel tempo e nello spazio qualche altro essere pensante ci inciampi e scopra di non essere solo nell'universo.
Uno scredita la categoria a cui appartiene e manda nell'etere tonnellate di merda, nella speranza - nostra - che nessun altro essere pensante ci inciampi mai, ché faremmo una figura veramente infima anche con gli extraterrestri.

Uno se l'è portato via una brutta malattia all'età di 62 anni.
Uno è ancora vivo all'età di 79 anni e sembra anche godere di buona salute.
In entrambi i casi aggiungerei "purtroppo".

Uno ha lasciato tante splendide citazioni, una delle quali porto orgogliosamente stampata su una maglietta con la sua foto.
Uno credo sia più celebre per l'uso che fa della sua lingua, piuttosto che delle sue parole.

Uno era questo.
Uno è questo.
A me non sembra che si assomiglino, in tutta onestà.

Ecco.
Ma il prossimo che mi chiede se quello sulla mia maglietta è Emilio Fede, anziché sorbirsi una minilezioncina su chi sia stato e cos'abbia fatto Carl Sagan, si becca un pugno in faccia senza ulteriori spiegazioni.
Giuro.

venerdì 16 luglio 2010

BETTA CUCINA: LINGUINE ALL'ARANCIA


Correva il lontano anno 2004. Ora, che caspita c'abbiano gli anni da correre, io non l'ho mai capito: hanno 365, qualche volta 366 giorni per andare dovunque debbano andare (e poi, di grazia, dove vanno gli anni?), che ci andassero con calma.
E quindi, passeggiava il lontano anno 2004, e nel mese di febbraio, grazie a una serie di coincidenze irripetibili, mi trovai in possesso di un Fidanzato. Vi rovino subito la sàspenz svelandovi che si tratta dell'attuale Marito: sono una persona noiosa e se vi aspettate di trovare sconvolgimenti sentimentali sulle mie pagine, avete sbagliato blog, qui succedono cose nuove solo in cucina. E in quanto persona noiosa, ciò mi va benone.
Ma torniamo al 2004: per chi non lo sapesse, io all'epoca non vivevo nella Città del Sole bensì nei pressi di quella, altrettanto bella ma di molto più fredda, del Palio. Urgeva quindi un incontro col Fidanzato, reso alquanto complicato dal mare nel mezzo e dal fatto che io non avessi un centesimo bucato per noleggiare un canotto e andare da lui. Ci si accordò quindi sul fatto che fosse il Fidanzato ad andare in visita dalla Fidanzata nullatenente.
La Fidanzata nullatenente all'epoca viveva da sola in un monolocale di metri quadrati 31 esatti, che riusciva a tenere in uno stato di perfetto casino, complice anche una sua certa asocialità che l'aiutava nello starsene isolata in quel buchetto di campagna: e si sa che non ricevendo visite una può anche un pochino tralasciare la cura della casa. La suddetta all'epoca faceva anche un lavoro stupendo ma faticoso (se siete in quel di Siena, sappiate che se camminate su piastrelle fatte a mano, potrebbero essere mie) e quindi, essendo già poco portata per i lavori domestici, usava la stanchezza come ulteriore scusa per non fare un tubo. Tutto questo per spiegarvi come, alla vigilia dell'arrivo del fidanzato, la situazione fosse catastrofica, e urgessero delle pulizie di fondo. La sera prima quindi la Fidanzata si mise al lavoro e riuscì a far risplendere (vabbè, quasi) il suo appartamentino verso le 2 di notte. Alle 5 avrebbe dovuto partire per Roma per andare a raccogliere il Fidanzato in aeroporto (erano tempi in cui Raianeir non c'era e l'unico modo per volare dall'isola alla terraferma a buon prezzo era scendere a Milano o Roma). Avrebbe quindi potuto racimolare due orette di sonno, ma tanto era troppo emozionata per dormire. Decise quindi di sfruttare quelle due orette per fare una sorpresa al Fidanzato.
Il Fidanzato aveva, e ha ancora, un'amica che risponde al nome di Maya, fanciulla dalle molte doti ma celebre in primo luogo per la sua arte pasticcera. Fidatevi, ora che ho la fortuna di averla come amica anch'io: non mangerete in nessun altro posto dell'universo dolci belli e buoni come i suoi. Il Fidanzato, fin da quando era Prefidanzato, mi raccontava meraviglie delle cene in cui l'allora per me sconosciuta Maya portava dolci, e in particolar modo narrava con tripudio del di lei tiramisù. Dovendo quindi preparare un dolce per l'imminente cenetta della sera e ricordandomi di quanto a lui piacesse, impiegai le due ore notturne per fare il tiramisù. Alle 5 mi preparai e partii da casa, occhiaie a palate e ore di sonno zero.
Ora, non starò qui a raccontarvi l'incontro in aeroporto, la musica romantica in sottofondo, i cuoricini che volavano e tutto il resto, perché non sono fattacci vostri. Arrivammo comunque a casa e, dopo la cena, sfoderai dal frigo il mio sofferto tiramisù e lo deposi con amore nel piatto del Fidanzato, speranzosa. Il Fidanzato assaggiò, rifletté e sentenziò.
"Buono. Ma quello di Maya è meglio."
Capii in quel momento che da quest'uomo c'era da aspettarsi poco in termini di diplomazia, ma molto in termini di sincerità.
Pochi mesi dopo ebbi la fortuna di conoscere Maya e i suoi dolci, e non ho alcuna difficoltà ad ammettere che il Fidanzato avesse ragione: il tiramisù di Maya è la sua pièce de résistance, un'opera d'arte, un capolavoro, è come "My way" per Frank Sinatra, la Gioconda per Leonardo da Vinci, la sigla di "Atlas Ufo Robot" per Vince Tempera. Lei vi spiegherà di buon grado il suo procedimento (quanto amo i cuochi che non tengono segrete le loro ricette!), ma le sue manine hanno il tocco magico, ed è "quel" tocco in più che rende il suo dolce "il" migliore. Se non avete mai mangiato il tiramisù di Maya, non avete idea di cosa sia il Godimento Assoluto, mi dispiace per voi. E quindi non porto alcun rancore al Fidanzato per il giudizio cristallino e spietato: era, semplicemente, vero.
Però, ecco, sappiatelo, maschietti all'ascolto: ogni tanto a noi donne qualche bugia piccola piccola di quelle innocue la potete pure dire, eh? Non necessariamente sulla cucina: per esempio sulle rughe, sui capelli bianchi, sul peso… noi lo sapremo che sono bugie, ma voi ditele lo stesso, siate gentili.
Oltre alla sincerità, piatto forte di quella prima cenetta, credo di ricordare (se non fu quella, fu la seconda, ma abbiate pazienza, avevo altre cose da tenere a mente, concedetemi l'eventuale inesattezza storica), furono le linguine all'arancia, piatto non di mia invenzione ma che ho personalizzato un pochino, e che vado di seguito a illustrarvi.

Vi occorrono tre ingredienti fondamentali.
In primo luogo, la pasta: perché proprio le linguine? Non lo so, ma secondo me fanno quel tantino scicche. Voi fate pure il formato di pasta che preferite, ma le linguine hanno più classe.
In secondo luogo, l'arancia: ve ne serve una per 300 grammi di pasta, che in casa mia sono la dose minima per due persone quando non abbiamo particolarmente fame. Vi consiglio caldamente un'arancia sanguinella, per motivi cromatici e di sapore; in caso non la troviate, sceglietene una abbastanza dolce.
In terzo luogo, la panna: fresca, ve ne prego, fresca, la panna da cucina è il MALE. Ve l'ho detto già una quindicina di volte ma non fa mai male ripeterlo, non si sa mai che mi scivoliate sulla panna, facendo oltretutto un pasticcio sul pavimento.
E via con la ricetta, che è facile e veloce e si prepara mentre mettete a bollire l'acqua. Prendete una padella abbastanza capiente, ché ci dovrete poi saltare la pasta. Fate un soffritto con burro e scalogno tritato finefinefine; se non avete scalogno, andrà bene la cipolla bianca. Se non avete cipolla bianca, andrà bene la cipolla gialla. Se non avete cipolla gialla, cambiate ricetta. Appena il soffritto è soffritto, aggiungete circa un quarto di litro di panna e poco dado vegetale per insaporire. Se comprate il brick di panna da mezzo litro, come faccio io, non disperate: prossimamente vi elargirò una ricetta per usare la panna rimasta. Fate riscaldare, aggiungete il succo di un'arancia, un'idea vaga di conserva di pomodoro (deve dare colore, non sapore, quindi poca, pochissima) e un'idea quasi inesistente di paprica dolce (il piatto deve essere delicato, non piccante). Fate rapprendere un po' e togliete dal fuoco. Intanto cuocete la pasta, scolatela abbastanza al dente e saltate in padella facendo ritirare il condimento, a sufficienza perché esca una cremina morbida, non troppo perché si asciughi.
Servite (o, se preferite i neologismi del piffero, "impiattate") subito ai vostri commensali. Con un po' di fortuna non avranno mai mangiato a casa mia, e non rischierete di sentirvi dire "buona. Ma quella di Betta è meglio".